Il formaggio senza latte

Una sfida che possiamo vincere

Vi dico subito che il mio sogno nel cassetto, da molti anni, è fare il casaro. Adoro il formaggio e ho sempre avuto un’attrazione pazzesca per l’arte casearia. Vi racconto cosa mi è venuto in mente dopo avere letto tante notizie sulla questione del latte in polvere “europeo”.

Dunque dicevo, è una sfida che possiamo vincere e potrebbe addirittura portarci dei vantaggi. Ma andiamo con ordine.
La vicenda nasce dall’invito della Commissione Europea all’Italia di cancellare l’obbligo a usare solo latte fresco per la produzione casearia. Al momento, con legge risalente al 1974, in Italia i formaggi non possono essere prodotti usando latte in polvere, concentrato, ricostruito. La Commissione ha inteso eliminare questo divieto dato che differenzia l’Italia dagli altri paesi europei e limita il mercato del latte a livello federale.

Contro questa ipotesi si sono sollevate le proteste degli agricoltori, degli estimatori di formaggi e di molti produttori, mentre altri tacciono. In questi giorni si sente dire che il latte in polvere farà scomparire decine di formaggi DOP italiani e darà il colpo di grazia alla zootecnia italiana.

Qui viene la parte interessante del discorso. La Commissione Europea non ha invitato l’Italia a imporre l’uso del latte in polvere, ma a consentirlo. Il che significa che nessuno obbligherà il caseificio a comprare latte in polvere tedesco per fare del Grana Padano o del Montasio. Sarà il caseificio a scegliere.

Qual’è il problema? Il problema è che il latte “in polvere” ha un prezzo molto basso. Un po’ di acqua di buona qualità et voilà, la materia prima è pronta. Altro vantaggio: il latte in polvere si conserva e si trasporta più facilmente: il peso per pari quantità di sostanza secca è pari circa a 1/3 del latte fresco.

La scala conta molto in qualunque produzione industriale e quella del latte non è differente. Va detto che parlare di “industriale” mi provoca dei brividi, ma la realtà è quella. Le stalle da 10 capi sono scomparse in molte aree d’Europa e del Nord America, lasciando il posto a mega allevamenti bovini dove centinaia di capi vengono gestiti come macchine per la produzione di latte.

Le vacche sono state selezionate per rendimenti stratosferici, vengono alimentate con mangimi a basso costo ed elevato contenuto calorico, gli impianti sono concepiti per minimizzare gli “sprechi”. In sostanza le vacche non sono altro che dei laboratori, quasi usa e getta, niente a che vedere con le vacche che pascolavano sui nostri monti o vivevano nelle stalle dei paesi del secolo scorso.

Non entro nel merito della moralità della cosa, intendo del fatto di trasformare un essere vivente in un oggetto tenuto “in funzione” al limite e maltrattato nel peggiore dei modi. Qui stiamo ragionando del prodotto, del latte e del formaggio.

E’ tristemente ragionevole ritenere che chi fa produzione industriale di formaggio si rivolgerà rapidamente a questa nuova materia prima. Costi più bassi, prodotto finale … lo stesso? Forse no. Però dobbiamo considerare due cose il mercato e la sensibilità dei clienti.

Vorrei fare un parallelo con il vino, prodotto che in Italia sembra avere ancora un certo peso. Abbiamo una produzione non elevatissima, perché l’Italia è un paese montagnoso e per lo più inadatto alla viticoltura, ma ci sono zone vinicole molto interessanti, dove si producono vini Eccellenti e molto famosi in tutto il mondo.
Vi ricordate il romanzo di Hemingway Di là il fiume e fra gli alberi? Il protagonista si è scolato più di qualche bottiglia di Valpolicella. Detto così oggi potremmo chiederci “quale”, Classico, Ripasso, Amarone? Non importa, era ed è un marchio distintivo, un nome importante.
A fianco di Valpolicella, Chianti, Montalcino e altre eccellenze fra cui metto il Nepente di Oliena e il Tocai Friulano (mi dispiace ungari, sono nato qui e così si chiama il nostro amato blanc), ci sono vini prodotti a megalitri (milioni di litri!) e imbottigliati, o meglio infilati in un package analogo a quello di qualunque altra bibita.

Io dubito che la produzione di Brunello di Montalcino sia stata colpita in qualche modo dall’avvento sul mercato del vino in tetrapak!

Qual’è il problema, che nel caso del Brunello c’è stata una precisa scelta, la volontà di farne un vino d’élite, un vino che deve per forza costare un bel po’ a bottiglia, a meno che non si compri qualcosa di molto giovane, giusto giusto appena fuori cantina (da disciplinare ovviamente).

Torniamo al formaggio. Ho assaggiato molti formaggi industriali tedeschi, olandesi, austriaci, francesi e italiani. Forse li userei a fettine nel tost, ma giusto perché sono abituato alle sottilette, che altro non sono che formaggio industriale fuso in fogli.

Capiamoci, anche i formaggi industriali italiani, e molti sono DOP, sono stati banditi dalla mia dispensa. Partendo dal presupposto che invecchiando e volendo conservare la pervietà delle coronarie ho deciso di cambiare abitudini alimentari, non mangio più un paio di etti di latarie furlan al giorno. A sto punto, visto che il formaggio lo mangio raramente e mi piace tantissimo, che sia almeno Buono!

Ho ricevuto in omaggio del formaggio prodotto in un’altra regione italiana, marchiato e tutto. L’ho assaggiato e ho deciso che poteva essere adatto fuso. Di degustarlo non se ne parla nemmeno, per carità! Eppure era DOP e troverete migliaia, centinaia di migliaia di persone entusiaste del suo sapore. Lo compreranno felici, soprattutto per il prezzo ridicolo.

Dunque mi chiedo, se domani il 99% dei produttori di formaggio da supermercato in Italia usasse il latte in polvere, dal punto di vista caseario, cosa cambierebbe?
Cambierà che la qualità passerà, per alcuni formaggi, da Cattivo a Pessimo. Che alcuni passeranno da Sufficiente a Cattivo. Ma ciò di cui ci dobbiamo preoccupare è conservare gli Eccellente e i Buono. Magari migliorarli, con garbo.

Torno al vino, perché mi fornisce lo spunto ed è un discorso già digerito in quel campo. Mi ricordo i vini del Collio di venticinque anni fa. Ero un ragazzino troppo cresciuto, ma il vino lo bevevo già in casa, come tutti i friulani DOCG DOP IGP che si rispettino. Un sano fiulano dopo i quindici anni deve sapere tenere in mano un tai (bicchiere di vino da 1/8 o 1/10 di litro).
Posso dire che c’erano buoni vini, che quando assaggiai un Tocai dei Colli Orientali invece del solito della Grave che comprava mio padre, rimasi colpito. Poi arrivarono gli enologi, quelli bravi, preparati. E il vino migliorò. Perse certe note che da Buono lo fecero diventare Eccellente. Persino alcuni Sufficiente divennero Buono e potrebbero aspirare, se solo il terreno e il clima aiutassero, a salire ancora.

Per il formaggio questo non è ancora accaduto, perché al momento il mercato fatica a distinguere fra un Sufficiente e un Buono, fra un Buono e un Eccellente. Semplicemente perché non c’è stata la spinta, forse la lungimiranza.

Quando sarò diventato famoso scriverò un romanzo in cui il protagonista mangia formadi asín o scuete fumade, magari va in estasi per un formaggio montâs di qualche malga che spero esista ancora. Per ora mi accontendo del mio blog.

I francesi sono riusciti a spacciare per eccellenti formaggi che tutto sommato non sono un granché. Onesti, ma non da perderci la testa. Noi abbiamo tendenzialmente ridotto la qualità. Per mangiare un formaggio Eccellente bisogna avere la fortuna di trovare l’azienda giusta, il caseificio di dimensione medio piccola, la latteria sopravvissuta all’ondata di industrializzazione del settore.

Io credo una cosa. Il formaggio industriale, quello che costa poco al supermercato, in verità si distingue ma non in modo così marcato fra zone diverse. Le lavorazioni sono differenti, il risultato non è ovviamente uniforme, ma rimane un comune denominatore: latte liquido da vacche che mangiano insilato di mais e lavorazioni fatte in laboratori ipertecnologici dove anche l’ultimo dei fermenti ha una targhetta identificativa ed è industriale.

Assaggiate qualcosa di veramente Buono, non dico Eccellente, confrontate la mozzarella che comprate al supermercato a Udine con quella che scovate nel caseificio pugliese con spaccio annesso all’azienda. E poi mi saprete dire.
Provate ad avere l’ardire di andare a cercare il formadi montâs vero, quello de la mont, non quello che ha un marchio, quello fatto in montagna col poco latte che possono dare brune alpine al pascolo. Ovviamente dovrete avere la fortuna di imbattervi in un bravo fedâr (o una mont che abbia un bravo cjasâr). Non è scontato. Ma se avrete questa fortuna, scoprirete che esiste un abisso, che c’è formaggio e formaggio, forse scoprireste che vale la pena spendere 20 € al kg per mangiare un formaggio Eccellente piuttosto che spenderne 8 per mangiare plastica.

Può darsi che domani venga imposto di non scrivere quali siano le materie prime utilizzate, per non turbare i sonni di qualche allevatore industriale tedesco o olandese, ma credetemi: chiunque abbia delle papille gustative capirà perché un formaggio vale 20 e uno vale 5 ma viene venduto per 8. Allora avremo nel campo caseario quel fenomeno che ha trasformato il vino rosso di una collina in un Brunello di Montalcino, il vino rosso fatto su certi colli presso Firenze nel Chianti, il vino bianco delle colline oltre Judrio in un Tocai Friulano del Collio. Quel giorno qualcuno potrà vendere il latte “vero” ad un prezzo dignitoso, oppure di farsi trasformatore, dal pascolo al formaggio.

Non è un semplice auspicio, non è una vana speranza, ma un’idea su come dare futuro a una zootecnia di buon livello, su come dare futuro alla produzione casearia italiana e anche a decine di famiglie, che potrebbero trarvi sostentamento, se non addirittura un benessere economico prima sconosciuto. A proposito, vi ricordare il tema dell’Expo 2015?

Forse questo è il momento di togliere il sogno dal cassetto.

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