Ci sono due vicende che mi fanno pensare molto al concetto di Europa in questi giorni. Una è la vicenda contemporanea, quella della crisi finanziaria della Grecia. L’altra è una vicenda di vent’anni fa, il massacro di Srebrenica.
Una cosa forse colpirà i miei lettori italiani: sono due vicende che hanno come teatro l’Europa sudorientale, mentre in genere pensiamo all’Europa come il complesso di paesi centrali e occidentali, uno spazio che va dalla Polonia all’Inghilterra passando per Germania, Francia e altri Stati più o meno piccoli nel mezzo.
Invece Europa in senso geografico, storico e politico è anche quel SudEst che chiamiamo in generale Balcani. La denominazione di per sé fa sorridere, perché i Balcani sono una serie di catene montuose che delimitano a Nord questa sorta di grossa penisola, la cui estremità meridionale è la Grecia. Allo stesso modo la penisola italica dovrebbe chiamarsi “le Alpi”. Ma sono dettagli.
Tornando indietro di vent’anni, ai giorni della guerra, quella guerra che per noi abitanti del “nodo” europeo era molto vicina e fonte di dolore direttamente o indirettamente, Srebrenica è stata teatro di un episodio, il più celebre, che non è altro se non il sintomo di una malattia secolare: un concetto malato di nazionalismo. Le guerre della ex Jugoslavia sono state, come tutte le guerre, innanzitutto uno scontro fra poteri economici e politici, rivestite da una pellicola esterna di nazionalismo, di orgoglio etnico, di odio. Nulla di diverso da ciò che ha scatenato e sostenuto la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Srebrenica è il sintomo di quella malattia che attacca un’Europa debilitata ogni volta che questo fa comodo ai poteri finanziari e industriali. Allora qualcuno soffia sulle braci dell’intolleranza, confondendo le idee, soprattutto i concetti di identità e diritto.
Arriviamo a oggi e ci scopriamo di fronte a qualcosa di analogo. Il male di fondo dell’Europa è quello dell’umanità. L’avidità, l’ignoranza, la paura. Male sfruttato da alcuni gruppi di individui, che non ho paura di definire nemici del genere umano in generale. La vicenda della Grecia è un mirabile esempio di come coloro che hanno un potere economico raggirino un intero popolo, inducendolo a intraprendere una strada, o a perseverare, che conduce alla sua inevitabile rovina. Ovviamente qualcuno ci guadagna, altrimenti il gioco non avrebbe senso.
Il popolo greco è indubbiamente disorganizzato, la società greca è pesantemente penalizzata da fenomeni di corruzione, di fuga dalla responsabilità. Ma la Grecia fa parte dell’Europa, in senso geografico e storico. Non mi richiamo al patetico ricordo di una supposta “grandezza” ellenica nell’ambito della storia antica. Non è vero che la cultura europea nasce in Grecia, la cultura è lineamenti di un popolo e la nostra cultura è nata per lo più nei territori dove viviamo, molto più spesso fra le tetre foreste del Nord, da dove ondate di popoli hanno invaso ogni angolo di queste terre alla fine dell’epoca romana. Hanno invaso marginalmente la Grecia, perché non c’era granché da guadagnarci.
La Grecia è Europa perché si trova lì, a portata di mano, perché rientra oggi nel nostro orizzonte. Ne fa parte e basta, come la Romania o la Bosnia, il Portogallo o l’Irlanda, la Norvegia o la Sardegna. Ne fa parte come non ne fa parte per nulla la Turchia.
Per decenni l’economia greca è andata progressivamente in malora. L’industria era scarsa ed è diventata quasi nulla. Per la Grecia non passano più vie commerciali, in fondo oggi una nave può salpare da Istambul e arrivare a New York senza fare scalo. La Grecia ha un territorio aspro, che la rende scarso produttore agricolo al pari di molte aree d’Italia. C’è il turismo, ma non è certo sufficiente a tenere in piedi un paese.
Il problema comunque è stato di ordine finanziario e non strettamente economico, non nel senso dell’economia detta “reale”. Molti greci ci hanno marciato sopra, come si suol dire, rimandando scadenze, evitando responsabilità, non sono tutti santi. Ma quando la BCE e alcuni governi europei pretendono di calare le loro misure sul popolo greco senza tenere conto di cosa sia oggi la Grecia reale, sbagliano. Capisco benissimo che i prestiti si rendono, che un impegno è un impegno, ma quando Tsipras dice che vuole trovare un accordo per restare uniti senza strangolare la sua gente e la Merkel dice che non si resta uniti se non si cava il sangue dalle pietre della Grecia, mi duole farlo ma devo stare dalla parte di Tsipras.
Alla Merkel e al suo partito, a molti suoi connazionali, dell’Europa in sé non importa un bel niente. A molti tedeschi importa, oggi come un secolo fa, usare gli altri popoli europei per garantire a sé stessi benessere. Gioco che inglesi e francesi hanno fatto a lungo con i popoli del “terzo mondo”. I tedeschi come colonialisti extraeuropei sono sempre stati scarsi, ma da un secolo cercano di dominare l’Europa, fallendo sempre miseramente.
Falliscono fondamentalmente perché tutti gli altri non sono proprio dei cretini incapaci e perché peccano in presunzione e ottusità. Tanto quanto i greci di Tsipras peccano di furberia.
Torno a Srebrenica e mi chiedo, al di là del mio ingenuo e idealistico europeismo, se dovessimo scegliere, preferiremmo fare quadrare i conti della BCE, o evitare di scannarci come bestie altre volte nel futuro?
Io penso che sia meglio evitare di scannarci, ma per farlo dobbiamo cambiare il concetto di Unione Europea. Non più sistema finanziario ma unione di popoli. Principi comuni, alcune regole fondamentali, ma rispetto reciproco. Stare insieme è conveniente, oltre la convenienza economica (che c’è). Ma di certo non riusciremo a essere uniti se il fondamento rimane quello di una Comunità Economica, se a fronte di questo nei singoli Stati si continuerà a soffiare sull’egoismo dei singoli individui.
L’Europa unita deve essere ancora fondata, da un’unione di popoli, non di finanze, che decidono di stare insieme, abbandonando logiche distruttive del passato. In realtà, per molti aspetti, l’Europa unita esiste da un pezzo. Da quando i nostri nonni emigravano in Germania, da quando i nostri fratelli hanno iniziato ad andare a emigrare verso le università e le aziende inglesi e tedesche. Facciamo parte di uno spazio comune, senza accorgercene.
Il passo da fare è molto semplice, riprendere in mano i destini di ogni Stato e quindi dell’Unione. Togliere il controllo agli economisti e ai banchieri, che vivono e operano con logiche del tutto aliene al mondo in cui viviamo noi, popoli d’Europa.
Se poi abbiamo antipatia per come sono fatti i greci o i tedeschi, non importa. A me le loro culture non piacciono, ma riesco a rapportarmi con greci e tedeschi. Stabiliamo regole comuni, che non siano solo ottuse forzate regole finanziarie. Esistono già tante Direttive comunitarie, sensate e intelligenti, bene. Teniamo quelle e cambiamo l’obiettivo primario della UE, da finanziario a umano. Secondo me si può fare, smettendo di essere milioni di individui isolati e sballottati dal vento di paure e individualismo.
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luglio 14, 2015 alle 10:52 am
io sognerei gli Stati Uniti d’Europa… comunque qui trovi la mia analisi https://liberodifareilfuturo.wordpress.com/2015/07/13/lausterity-vince-ancora/