La crisi idrica romana è roba da terzo mondo

E’ imbarazzante tornare a parlare di questioni legate alla “crisi idrica” dopo pochi giorni. Nell’articolo precedente ho fatto delle considerazioni dettate dai dati pubblicati su Il Sole 24 Ore in merito alle perdite delle reti idriche. Roma, secondo l’articolo de Il Sole 24 Ore, ha una dispersione del 42,9%, mentre in questi giorni girano stime attorno al 40%.

La vicenda che si sta consumando nella capitale non è paradossale ma bensì indecente. Parla di un paese dove la classe dirigente è totalmente incapace di individuare i problemi e le relative soluzioni in termini concreti, ma sa trovare sempre un modo per timbrare un pezzo di carta che metta tutto a posto.

La storia è semplice e triste.

Roma viene approvvigionata oggi da una società, chiamata ACEA, che è posseduta al 51% dal Comune di Roma, o come volete chiamarlo. Il secondo azionista, con il 23,3% è la Suez SA, una società franco belga. Viene quindi il gruppo Caltagirone col 5%, la Norges Bank con il 1,6% e il restante 19% circa suddiviso fra “altri” (dati dal sito www.acea.it.

Il lago di Bracciano (vedi info su Wikipedia) è uno dei grandi laghi laziali, si trova una trentina di chilometri a NordEst di Roma e da un paio di decenni è diventato parte del sistema di rifornimento della rete idrica della capitale. A quanto si dice dal lago proviene l’8% dell’acqua complessivamente destinata a rifornire la città. Quello che non ho ancora capito esattamente è se si tratti del 8% della portata istantanea nella stagione estiva o del 8% del volume totale prelevato nell’anno.

A quanto pare fino a qualche giorno fa la ACEA prelevava dal lago di Bracciano una portata media di 900 l/s, qualcuno parla di 1200 l/s ma non è nemmeno qua chiaro se si tratti della portata media estiva, di quella media dell’ultima settimana o della massima prelevabile da concessione. Lasciamo perdere, non è importante in questo momento.

La scarsità di precipitazioni e il bisogno di acqua di Roma ha spinto la ACEA a prelevare tutto ciò che era possibile dal lago e da altre fonti, che costituirebbero a questo punto più del 90% della capacità complessiva del sistema. Ma pare che sto famoso 8% del lago sia essenziale e possa mettere in crisi tutto il sistema idrico se dovesse venire meno, portando addirittura al razionamento.

Questa ipotesi mi ricorda certe esperienze vissute nella mia infanzia e adolescenza durante l’estate in diverse zone del Sud Italia, non è che sia qualcosa di straordinario, ma dobbiamo ricordare un piccolo dettaglio: Roma ha acquedotti da oltre venti secoli! Voglio dire, a Roma c’era una rete di acquedotti e fogne efficienti quando qui ai piedi delle Alpi stavamo ancora facendo a botte per i pozzi.

Il problema, di non poco conto, è che i romani antichi e quelli moderni non hanno nulla in comune. Gli acquedotti antichi venivano costruiti con tecniche fantastiche, tant’è che sono ancora lì a guardarci, e venivano curati in modo maniacale. La manutenzione era continua e le perdite non venivano in alcun modo tollerate. Oggi la rete di rifornimento di Roma perde il 40% dell’acqua che viene prelevata, mentre per motivi paesaggistici e per la gioia dei turisti mica si fermano le fontane. E ci mancherebbe, altrimenti come farebbero tutti a postare foto con commenti indignati perché qualcuno imitando Anita Ekberg si mette a sguazzare nella Fontana di Trevi?

E va bene, la capitale rappresenta egregiamente il paese: fa acqua da tutte le parti.

Dall’altra parte, c’è sto povero lago. Esistono dei limiti al prelievo dell’acqua dettati dalla necessità di preservare non solo lo scrosciante spettacolo della Fontana di Trevi, ma anche gli ecosistemi, fra cui quello del lago di Bracciano. Che poveretto non è certo scevro da problemi, ma è certamente un interessante e importante ecosistema naturale.

In mezzo, a parte le convizioni personali di chi tiene agli ecosistemi e ai così detti “ecological services“, ritenendoli una ricchezza e un’opportunità per vivere in modo decente sul pianeta Terra, ci sono delle norme. L’Italia si è dotata, prima di tutto in modo autonomo e poi in attuazione alla Direttiva 2000/60/CE, di un sistema normativo che non consente di scassare un ecosistema acquatico a piacimento. Non si possono mica seccare fiumi e laghi impunemente!

E invece no, sto scherzando, avrei dovuto scrivere che non si dovrebbero scassare gli ecosistemi acquatici, non si potrebbero prosciugare fiumi e laghi, non si potrebbe ma c’è sempre la soluzione. Vogliamoci bene, tarallucci e vino, in un paese sull’orlo del terzo mondo le regole non contano un bel niente e l’intelligenza e la furbizia, tipiche doti italiche, vengono ampiamente usate per azzeccare garbugli nel groviglio di norme e fare atti che si basano sulla supercazzola prematurata con scappellamento a destra come fosse antani.

Ed ecco che si pone un limite invalicabile (imperativo ca-te-go-ri-co!) sotto cui il lago non deve andare a causa del prelievo umano. Mai si dovrà fare un simile affronto al lago di Bracciano e l’italico ingegno saprà fare fronte a ogni emergenza.

Fatto sta che al lago di Bracciano il monitoraggio del livello dell’acqua è, a quanto dicono, affidato a un’asta idrometrica vecchio stile. Ha il vantaggio pazzesco di non incepparsi mai, è un metro appiccicato a un palo, ma dall’altro lato è sintomo di una faciloneria, di una mancanza di interesse che non so se valutare come indice di incapacità o di disonestà.

Asta “analogica” vecchio stile che sta funzionando egregiamente e ci dice chiaro e netto che il livello del lago è arrivato al punto in cui non si deve più prelevare acqua. Apriticielo! Se ACEA smettesse di prelevare acqua dal lago di Bracciano, dovrebbe mettere a razionamento 1,5 milioni di cittadini! Avete sentito bene, interrompere il prelievo del 8% dell’acqua utilizzata porterebbe a mettere a razionamento un milione e mezzo di persone, e la Fontana di Trevi, suppongo.

A sto punto entra in gioco la farsa, o meglio la genialità. La Regione deve per forza emettere un’ordinanza che vieti l’ulteriore prelievo, dato che le nostre leggi mettono in capo alla Regione Lazio la responsabilità sull’uso plurimo e sostenibile delle risorse idriche e relative allo stato ecologico dei corpi idrici.
Il Presidente Nicola Zingaretti non poteva fare altro che dare attuazione alle norme. Dall’altro lato ACEA fa ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, come qualunque derivatore fa quando una Regione tenta a torto o a ragione di limitare la sua capacità di prelievo.
Intanto il Comune di Roma, la cui rete idrica perde il 40% dell’acqua, sembra cascare dalle nuvole e la sindaca Virginia Raggi, che si è scelta una croce immensa con sta carica, sembra non sapere dove andare a sbattere la testa. Per fortuna (sua) il problema può essere scaricato sulle spalle di ACEA, che però è controllata dal Comune! E allora sarà ben colpa della Regione, con quel Zingaretti che di sicuro vuole tutelare il lago di Bracciano solo per fare rabbia alla sindaca, perché lui è del PD e la Raggi del M5S. Il lago, mica è un problema.

Beh, a quanto pare, troveranno il modo di finirla a tarallucci e vino. Ma che ccemporta, ma checcefrega se dentro ‘r lago nun ce sta più l’acqua. Basta che ci sia il vino, che poi senza acqua è meglio.
Insomma, che si arrangi il lago, sperando nella pioggia, nel calo della richiesta, iniziamo a prelevare un po’ di meno, ma di interrompere il prelievo non se ne parla nemmeno. E annunciamo pure urbi et orbi che si metterà mano ai tubi! Ma si, intanto magari il lago si secca e nessuno pagherà un centesimo per azioni di ripristino, alla prossima crisi scommetto che saremo sempre qua a dirci che i tubi perdono il 40%, che non si possono mettere a secco 1,5 milioni di persone, che ci vuole la deroga, bisogna essere ragionevoli, e del lago chi se ne strafrega. Già, tanto non stiamo andando verso periodi sempre più lunghi di siccità, vero?

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