Percorsi Insicuri e Veramente Astrusi

Considerazioni contro il lavoro autonomo

Stamattina ho speso 4 ore per compilare moduli, il cui scopo è accedere a un incarico, fare i calcoli per due preventivi, necessari per ottenere forse (40% di probabilità) altrettanti incarichi, ho risposto a 5 telefonate per discutere di futuri incarichi e della rendicontazione di quelli già svolti.

Le giornate sono spesso così. Peccato che io sia un biologo, non un amministratore.

Quando faccio un preventivo a un cliente in genere segue il tonfo sordo di un corpo che cade, privo di sensi, dalla sedia. Poi ci sono due possibili sviluppi iniziali. Il potenziale cliente non risponde nemmeno, oppure inizia la contrattazione. Dai, fammi di meno, fammi bene, mi raccomando, ma cosa ma come ma perché.

Sul perché, sono sempre felice di spiegare. Dopo due minuti che spiego al cliente quanto tempo ci vuole per fare le cose che mi chiede, in genere si stufa, ma non ammette che valgano ciò che chiedo. Nella maggior parte dei casi esibisco il prezziario approvato per le varie Agenzie di Protezione dell’Ambiente dell’Italia settentrionale, che comprendono quelle analisi ambientali, e si vede al volo quanto gli importi che propongo io siano inferiori. Ma questo non serve a nulla.

Una cosa che non posso fare capire è che i servizi che eroga il mio studio sono svolti effettivamente sotto il mio coordinamento e supervisione, ma io ne faccio materialmente più o meno da metà a un terzo. Ovvero, col del tempo sono passato da una condizione di “faccio tre cose in un anno, da solo” a “faccio cento cose in un anno insieme a …”.

Questa è un’immensa fregatura, a ve lo dico subito. Quando si lavora così, tutta l’immensa scocciatura di dovere intrattenere relazioni coi clienti è sulle spalle del “capofila”. In realtà il cliente conosce solo te e non gli importa, né gli deve importare, come ti organizzi per fare il lavoro.

Significa che mentre una volta il 100% del tempo in cui lavoravo era fatturabile, oggi una grossa parte di questo non lo è, perché non puoi fare pagare al cliente il tempo impiegato per preventivi, rendiconti e questioni organizzative. Quell’importo deve essere incluso nel prezzo che fai per le singole prestazioni.

Molti, e io ero fra questi, non lo includono. Va bene finché hai a che fare con 2 clienti e devi fare 4 o 5 campionamenti all’anno. Non va bene quando stai seguendo e coordinando 5 o 6 piani di monitoraggio complessi. E’ assurdo se sono anche solo 10 piani di monitoraggio!

Per capirci, una volta venivano da me e mi dicevano “Bepo, ci serve che tu faccia 4 campioni di macroinvertebrati”. Io facevo 4 campioni, li esaminavo, scrivevo il rapporto nel formato che mi pareva più ragionevole e lo consegnavo. Poi fatturavo i 4 campionamenti e incassavo. Fine. Semplice, bello, pulito e lineare.

Pochi sporchi e subito.

In questo modo lavoravo più o meno la metà rispetto a oggi e guadagnavo circa il 80% di quanto guadagni oggi. Insomma, passare da essere un piccolo professionista di provincia che lavora per poca gente e poco a un professionista di provincia che lavora però in sei province e per una ventina di soggetti, è una fregatura pazzesca!

Ora ve lo devo dire, è assolutamente vero e verissimo che i titolari di partita IVA possono “scaricare” le spese. Ma le spese sono quelle relative al proprio lavoro. Ovvero, io posso scaricare i soldi spesi per comprare un catturapesci elettrico, non posso scaricare l’affitto di casa. Posso scaricare il costo degli stivali che uso per lavorare, degli scarponi che distruggo per andare a fare sopralluoghi, posso scaricare ovviamente i soldi che giro al laboratorio chimico, a chi analizza campioni biologici che non posso analizzare da solo. Ma non posso scaricare la pastasciutta, l’auto la scarico al 20% del costo complessivo anche se la uso al 90% per lavoro.

Ogni tanto chiacchiero di ste cose coi lavoratori dipendenti. Non ci capiamo, sono vite troppo diverse le nostre. Non pagano l’affitto del loro ufficio, non pagano il riscaldamento, non pagano il computer che usano, né il software. Alcuni si lamentano di dovere andare con la propria auto da casa all’ufficio, magari facendo 30 km di strada andata e 30 km ritorno. Ma non considerano che là fuori ci sono persone come me. Se il computer smette di funzionare, o un ennesimo aggiornamento del sistema operativo (concepito per mandare in pensione l’hardware vecchio) pone fine alla sua funzionalità, io devo comprare un computer. Se in quel momento non ho i soldi per comprarlo, lo devo comprare lo stesso, perché senza computer non lavoro e senza lavoro non guadagno.
Se domattina dovessi campionare in montagna e avessi la febbre a 38°C avrei due possibilità: andarci lo stesso o non andarci. Non esiste la “malattia“. Se non ci vado non guadagno, ma soprattutto metto nei guai il mio cliente, che non vorrà più avere a che fare con me. Quindi ci vado, con 38°C di febbre e bon. Come un pastore in montagna, le bestie mica smettono di mangiare o di fare il latte perché tu sei ammalato!

Le ferie. Le ferie non esistono cari. Non c’è orario, non c’è calendario. Esiste solo il calendario delle consegne e quello delle scadenze fiscali. Quando non hai lavoro, fai ferie. Ma quando non hai lavoro stai buono e zitto a casa perché non hai entrate da spendere in vacanze.

Non è vero che noi sfigati della PIVA non andiamo in vacanza, sia chiaro, ci vanno quasi tutti, tranne il 60% circa dei titolari di PIVA, che chiamano “vacanza” passare 4 giorni compresi un sabato e una domenica da qualche parte, col cellulare acceso e consultando e-mail tutti i giorni, per rispondere ai clienti, per cui tutto è urgente!

Tutto è urgente? Non è vero. Nel mio lavoro assistiamo le aziende per adempiere a determinati obblighi derivnati da autorizzazioni ambientali e concessioni. Questi provvedimenti prevedono tempistiche molto chiare, indicate sui disciplinari e decreti. Il cliente in genere non li legge. Riceve il decreto oggi, tutto contento avvia la sua attività, fra 27 giorni si accorge che entro 30 giorni dal ricevimento del decreto deve fare a), b), c).

L’urgenza al 27° giorno c’è, ma non è una vera emergenza, è semplicemente conseguenza di carenze da parte del cliente, che però ti fa le gonadi a marmellata se non gli consegni la relazione il giorno dopo perché lui ha urgenza! Urgenza! Urgenza!

Urgenza significa che io, per soddisfare la sua richiesta, dovrei modificare il mio workflow, cambiare appuntamenti i agenda, fare la notte. Il tutto ovviamente manda in casino il lavoro per altri e la tua stessa vita. Questo si paga. No, si dovrebbe pagare, ma non si paga. Urgenza + 30% diceva un mio conoscente e acconto del 50%, vedo bonifico, consegno lavoro urgente.

Non funziona. Perché qualche tuo concorrente ha meno lavoro di te ed è disposto a passare la notte insonne, facendo pagare il lavoro anche meno.

Io ci ho provato una volta. Il lavoro è un disastro, pieno di errori e refusi. Ho visto quello che consegnano i miei concorrenti, idem. D’urgenza, in 24 ore, non si fa niente di serio.

Ho visto tempo fa un progetto di Piano di Monitoraggio Ambientale, redatto in meno di due giorni, con i punti di campionamento posizionati guardando le immagini su Google Earth. Visti da satellite sono ottimi punti. Arrivi sul posto per eseguire e trovi il fiume chiuso fra due muri di cemento alti 4 metri, senza scalette per l’accesso.
Sono capacissimo di ficcare nel muro due fix da 8mm e calarmi con una corda per 4 metri, considerato che per svago mi calo per pozzi di grotte e pareti, ma perché io dovrei organizzare tutto sto casino, fra cui l’accesso all’alveo per altri (non addestrati) sotto la mia responsabilità, perché il tuo professionista tuttofare ha messo punti a caso e nessuno se n’è accorto? C’è un punto accessibile senza tanti problemi mezzo chilometro a monte.

A volte l’accesso difficile è obbligatorio, allora si che devi andarci e prendere tutte le precauzioni del caso. La cosa triste è che per noi lavoratori autonomi le norme di sicurezza sono inconsistenti. Di fatto, se non abbiamo dipendenti, affari nostri. E’ pur vero che se ci facciamo male possiamo avere una compensazione, legata evidentemente all’adozione di tutti gli accorgimenti che devono essere previsti nel caso di altri lavoratori, ma è anche vero che quando ti fai male le casse professionali non sono come quelle pubbliche. Non c’è nulla da fare, lo Stato ti dà di più e sul momento non pensi al fatto che lo possa fare caricando più tasse sulla collettività.

Questo post sta diventando troppo lungo. Quello a cui voglio arrivare è che desidero sfatare i miti relativi alla bellezza del lavoro autonomo, dell’essere padroni di sé stessi. Voglio dirvi che la Partita IVA è quel famoso numero di cui parla l’Apocalisse, altro che il 666.

Io aprii la Partita IVA perché all’epoca l’alternativa era la disoccupazione. Ai concorsi ero sempre classificato n+1 quando c’erano n posti. Ai curricula inviati ai privati non rispondeva nessuno. Colloqui fantastici per non avere nemmeno un part time a tempo determinato. La mia professionalità non interessava alle aziende, anche se serve alle aziende. Quindi dovetti mettermi in proprio e fornire questi servizi a pubbliche amministrazioni e società private.

A posteriori, penso che sia stata una buona soluzione finché ero giovane e abitavo coi miei genitori, guadagnavo poco ma vivevo piuttosto bene, al netto del fatto che stare coi genitori mi pesava. Ma in seguito essere lavoratore autonomo è diventato molto più pesante. Se vi capita, non prendetela come una scelta di vita, continuate a puntare verso il lavoro dipendente come un setter punta il fagiano! Non mollate ragazzi e se proprio doveste aprire la Partita IVA, non cercate di crescere!! Crescere è l’anticamera dell’inferno. Più crescete, più avrete problemi da risolvere senza che questa fatica, aliena alla vostra professionalità reale, sia ricompensata.

Credetemi, potete fare a meno della Partita IVA, qualunque sia la vostra condizione ora. Non fatelo!

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