Non sapevo assolutamente nulla del signor Ingvar Kamprad, fino a stamattina. Sul serio. Ho acquistato diverse cose in un negozio della società che fondò giovanissimo, ma non avevo idea nemmeno dell’esistenza di questa persona. Oggi scopro chi fosse e che è morto. Immagino saprete ormai anche voi che stiamo parlando del fondatore dell’IKEA.
In un articolo che lo ricorda leggo: “A cinque anni andava in bicicletta da Agunnaryd a Malmoe, comprava i fiammiferi a pacchi e li rivendeva a decine ai vicini di casa. A nove andava a pescare e recapitava i salmoni a domicilio. A 17 crea una società di vendita per corrispondenza: biro, portafogli e semi di verdure consegnati dal lattaio.”.
Aveva capito esattamente quali fossero le necessità, i bisogni dei suoi clienti e quali i problemi che dovevano affrontare. Lui forniva soluzioni. Ad esempio, perché acquistare pacchi di fiammiferi e venderli poi a decine? Perché, in una società rurale del secolo scorso, acquistare un’intera scatola di fiammiferi sarebbe stata una spesa inutile, in linea di principio non sostenibile. Quindi cosa facciamo? Ci mettiamo d’accordo, in 5 famiglie, e acquistiamo una scatola. Se non ci pensiamo noi, ci pensa il giovane Ingvar. Lui, a differenza del negozio di Malmoe, ci offre i fiammiferi a decine, non a scatole, il costo dell’acquisto per ogni famiglia è inferiore, quindi ci consente di acquistarli e senza sprechi.
E’ ovvio, il giovane Ingvar assunse il rischio d’impresa. Acquistò molti più fiammiferi di quanti gli sarebbero serviti, mettendoci del capitale, ma rivendendo quei fiammiferi potè non solo rientrare delle spese, ma guadagnare. Escluse dunque per principio l’ipotesi zero, il non fare.
A questo punto mi ricordo la frase di un mio Maestro “un’ipotesi che porti a non fare nulla, va scartata”. Una sorta di rasoio di Occam.
Mi sembra che il signor Kamprad, il cui cognome appare a noi latini assurdo quanto i nomi dei prodotti venduti dalla sua società, abbia seguito questa regola. Il che mi fa riflettere molto, soprattutto sulla mia vita professionale e personale. La paura di non riuscire spinge inconsciamente la nostra mente a trovare un motivo per cui non fare qualcosa che ci è passato per la testa. Meglio una condizione insoddisfacente ma nota, che l’ignoto. Nell’ignoto tutto può migliorare, ma può anche peggiorare drasticamente. E’ un meccanismo di autocastrazione straordinariamente efficace e terrificante.
La paura di fallire, o meglio delle conseguenze negative di un fallimento, è insita nell’uomo, ma alcuni fortunati individui ne sono privi. Sono quelli che hanno consentito alla nostra specie di apprendere l’uso e la fabbricazione di utensili, per aumentare le proprie capacità. Sono coloro che hanno messo piede fuori dall’Est Africa per colonizzare l’intero pianeta. Sono gli stessi che hanno ideato e sviluppato ogni tecnica, compresa quella che rende possibile scrivere pensieri banali su un blog.
In ultima analisi, la paura di subire conseguenze negative dopo avere fatto qualcosa di nuovo, è ciò che determina inerzia, conservazione dello stato, mentre la mancanza di questa paura, o il suo consapevole dominio, sono ciò che ha determinato ogni successo nella storia dell’umanità. Nessuno ha avuto successo facendo cose “sicure”, né rimanendo fermo per paura di agire.
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