Sono stato un entusiasta della possibilità di fare cose online fin dagli albori di questa tecnologia. Un po’ lo devo al fatto che bazzico il web da quando si usavano ancora terminali testuali. Si, avete capito bene, niente figure, niente icone da cliccare, niente “like”. Avevamo mailing list, avevamo newsgroups, alcuni siti web con poche immagini staticissime e tanto tanto ipertesto. Ho imparato a scrivere in html nel 1995 quando ho aperto la mia prima pagina web usando GeoCities, ve lo ricordate?
Beh, nella mia ingenuità ho sempre pensato che fare le cose online fosse un figata. Quindi, appena potei, trasformai il mio conto bancario in uno dove tutte le operazioni si facevano attraverso il portale della banca, senza andare in filiale. Fui entusiasta all’idea di accedere a un certo numero di “spazi” dove potevo compiere operazioni, conservare dati e farmi gli affari miei.
Poi ho iniziato a rendermi conto che avevo collezionato una trentina di username e di password. Vabbé, dirai tu astuto lettore, usa sempre lo stesso username e la stessa password e buonanotte. Eh certo, così la volta che ti piratano l’account di posta su Libero, hanno le credenziali per accedere a qualunque cosa compresa la tua fidelity card del negozio di mutande di fiducia. Proprio per questo chi ti fornisce servizi online tende a creare sistemi e sintassi diverse fra loro. Ad esempio la password di certi servizi deve contenere per forza maiuscole, minuscole e numeri, almeno otto caratteri, in altri casi ti chiedono otto caratteri qualunque, in altri ancora almeno due devono essere numeri ecc ecc. Alla fine devi avere in mente un catalogo di ideogrammi degno di un calligrafo cinese.
Quello che mi ha smorzato l’entusiasmo non è tanto la questione degli username e password, che si risolve facilmente creando un database all’antica (rubrica) o un sistema che permetta la loro facile memorizzazione (un algoritmo mentale personale). Il discorso è un altro: usano il mio tempo per fornirmi dei servizi senza ridurne il prezzo.
Ma dai!! Ebbeh, è proprio così cara mia. Portali, servizi, accessi, firma elettronica, fatturazione elettronica, posta certificata e avanti così. Sembra tutto meravigliosamente figo e semplice, ma la somma di mille cose semplici e non coordinate fra loro è il caos più devastante dopo la schiusa del Hiranyagarbha e prima del Ragnarök.
La conclusione cui sono arrivato oggi è che fare cose online promette di farmi risparmiare tempo e denaro. Nella realtà il numero di cose da fare è aumentato e il tempo ce lo metto solo io, mentre i fornitori di servizi hanno maggiori entrate (col mio tempo) e la parte perversa del gioco è che fare cose online ha fatto lentamente scomparire la possibilità di farlo de visu, insomma di persona.
Tanto per dirne una, se voglio piantare un casino alla società che fornisce (male) servizi telefonici a mia madre, non posso parlare altro che con un operatore di call center che agisce entro una griglia ben definita, oppure accedere a un servizio online che ha una griglia ancora più rigida. Se per caso (oh, che caso!) volessi qualcosa che nella griglia non è previsto, non lo potrei fare. Dunque la mia capacità di azione è limitata e il tempo che devo usare per ottenere un risultato lievita, tutto a mie spese, non del fornitore dei servizi. Il quale, fornitore di servizi, tutela sé stesso e i propri clienti limitando la capacità di fare degli utenti.
Ovviamente dubito che si possa tornare indietro da questa cosa, ma ve lo volevo dire da ex entusiasta della rete che ci ha sbattuto il grugno.
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