Ad ognuno il suo compito

20200416 giorno 37 delle misure di contenimento

12:00

L’acqua del torrente canta scendendo lungo la Val Pesarina, il cielo è di un bel blu intenso, senza nemmeno una nuvoletta, il Sole illumina e scalda la dolomia delle crete e dona energia ai boschi ormai sempre più verdi. Quando mi allontano dalle altre persone con cui stavo lavorando, sfilo la mascherina da un orecchio, lasciandola penzolare dall’altro lato. Sono lontano da qualunque altro essere umano, potenziale ospite di SARS-CoV-2.

Con l’occhio incollato all’oculare del telemetro misuro ripetutamente l’ampiezza dell’alveo di morbida e del filone attivo attuale del torrente, annotando ogni misura sul blocco note e su una tabella che ho preparato nello smartphone. Duplico il dato per sicurezza: mi fido più della carta, ma sarà più facile compilare le tabelle e fare i calcoli se il file sarà leggibile.

Durante gli anni ’80, fra le scuole che chiamavamo “medie” e il liceo, lessi diversi libri divulgativi sulla storia della scienza. All’epoca fui particolarmente colpito dalle figure di Koch, Pasteur, Jenner. Quelle letture si mescolarono a una mentalità innata: devi fare qualcosa di utile nel corso della tua vita. Utile per l’umanità, non solo per te stesso. So che è una morale discutibile, ma sono il tipo che avrebbe volentieri fatto a meno di mangiare il frutto dell’albero proibito (della conoscenza) nel giardino di Eden. Dato che sono qui e devo pagare le conseguenze di quell’errore, pensavo che sarebbe stato interessante usare la conoscenza per contribuire a liberare tutti noi dai problemi che attanagliano l’umanità. All’epoca ero evidentemente più interessato alla cura della malattie, che mi sembrava prioritaria rispetto a ogni altra cosa.

Da quel momento, continuai a coltivare l’hobby delle osservazioni naturalistiche, ma stabilii come obiettivo quello di diventare un biologo e studiare “la vita” e il suo funzionamento, per contribuire a combattere malattie come i tumori, che avevano iniziato a falcidiare i miei affetti, o quelle provocate da batteri e virus, come l’attuale CoViD-19.

Quando arrivai all’Università di Trieste, iscritto a Scienze Biologiche, mi resi conto della complessità del mondo. La nostra specie, quell’umanità a cui volevo dedicare i miei sforzi, non vive su un pianeta immutabile. Mi resi conto che stavamo noi stessi cambiando le caratteristiche dei luoghi in cui viviamo, facendoli diventare diversi da quelli in cui erano vissuti i nostri antenati, che pure avevano potuto “crescere” notevolmente dal punto di vista del benessere nel corso dei secoli. Capii, negli anni in cui stavo studiando materie come biologia molecolare, istologia, genetica, biochimica, che le malattie conducono necessariamente gli individui alla morte, una sorte che tutti condividiamo, ma è possibile che i nostri errori rendano la Terra un luogo meno ospitale.

Nonostante la passione che coltivavo fin da bambino per attività come il birdwatching, la ricerca di fossili e minerali, quello che mi colpì più di tutto fu la pubblicazione di un rapporto sulla qualità delle acque della Bassa Pianura Friulana. Il rapporto riguardava un lavoro coordinato dal dott. Giorgio Mattassi, all’epoca operante presso il Presidio Multizonale di Prevenzione.

Fu così che decisi di occuparmi di ecologia e in particolare di usare le conoscenze che avrei acquisito, studiando il funzionamento degli ecosistemi, per capire come usare il territorio e le sue risorse in modo tale da non ridurre la nostra probabilità di continuare ad accedervi in futuro. Questo rompe un paradigma delle civiltà europee: ogni azione compiuta dall’uomo sul terra la migliora. In verità questo era ragionevole quando eravamo pochi e avevamo scarse capacità di azione. Una cosa è ciò che potevano fare i nostri antenati fino a duecento anni fa usando pala e piccone, altro è ciò che possiamo fare noi oggi usando macchine operatrici con potenze da centinaia di Watt. Ma di questo parleremo un’altra volta.

19:00

In questi giorni stiamo assistendo a un dibattito privo di senso sulla “dittatura degli scienziati”. Credo che ci sia un grosso equivoco, voluto e ben progettato da molti politicanti di infimo livello: gli “scienziati” non decidono, spiegano come funzionano i fenomeni naturali ai politici, i quali decidono cosa fare.

Se i politici sono incapaci, ovvero non hanno il coraggio o la capacità di decidere, tendono ad attribuire le loro decisioni ai consulenti che hanno ascoltato. Ma questa distorsione non dipende certamente da chi, a fronte di una domanda, dà una risposta. Se un politico mi chiede cosa succede se scarichiamo le acque della rete fognaria di un centro abitato di 20.000 abitanti in un corso d’acqua con una portata media di 2000 l/s, io gli spiego cosa succede. Sta al politico decidere se trasformare quel corso d’acqua in un nastro di acque puzzolenti pieno di alghe, o meno. Lo scienziato spiega cosa succede e come.

E’ ovvio che ogni scienziato abbia delle opinioni anche al di fuori delle proprie competenze professionali. Le abbiamo esattamente come tutti gli altri. Ma uno scienziato non ha mai imposto a nessuno di esimersi dall’andare in bagno per evitare di “sporcare” un corso d’acqua. E’ il politico che ha chiesto: come facciamo a riconoscere un corso d’acqua in grado di fornirci diversi servizi a uno alterato e non più in grado di farlo? Lo scienziato risponde. Il politico scrive una norma o dà avvio a un progetto.

Se il politico ha paura di assumersi la responsabilità delle proprie decisioni e le attribuisce agli scienziati, il problema è che si tratta di una persona inadatta a fare politica, men che meno a governare. E tutti coloro che credono a questo clamoroso scarica-barile permettono a un affabulatore professionista di prenderli in giro.

Tag: , , , , , , , , ,

Lascia un commento