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Privato non come necessità

giugno 15, 2020
CoViD-19 ha avuto molti effetti, uno è questo: fino a gennaio la maggioranza dei cittadini italiani erano convinti della bellezza e bontà del privato, in tutti i campi. Oggi gli stessi si lamentano perché il sistema pubblico non riesce ad aiutare la loro famiglia.
Ringraziamo noi stessi e le nostre scelte politiche.
La contrapposizione fra pubblico e privato in primis, nei servizi alla comunità. Che siano ospedali o centri estivi, asili nido o residenze per anziani. Abbiamo voluto, promosso o assecondato una politica per cui si poteva serenamente depotenziare il pubblico, motivando la scelta con inefficienza e necessità di finanziamento attraverso le tasse.
Pagare le tasse significa dare a qualcuno dei soldi anche quando non hai bisogno dei servizi che finanziano. Lo facciamo perché riteniamo che prima o poi tutto ci torni indietro, ma molti di noi non ci credono.
Il privato sembrava una soluzione geniale, fino a quando non ci siamo trovati con la necessità di ridurre il numero di bambini per gruppo nei centri estivi. Oggi salta fuori che in tot metri quadrati e con tot “educatori” non ci stanno più 9 bambini, ma 3. Quindi, per servire tutti, bisogna triplicare spazi e personale. Ma questo significa che triplicano i costi!
Oh meraviglia, il privato non fornisce quel servizio per amore verso la comunità. E’ il suo lavoro, è un imprenditore, onesto, che fa un lavoro legale, che non ti frega, ti fornisce un buon servizio, ma deve per forza ricavarne un utile.
Non c’è nulla di male nell’essere imprenditori, l’impresa privata non è il male e fare utile non è peccato.
L’imprenditore però, a fronte dell’incremento dei costi, deve triplicare la retta. Oh cazzo! Ma come …. è l’impresa privata tesoro, l’imprenditore ci mette un attimo a passare da “ricco” a “fallito”, anche se molti credono che gli imprenditori siano tutti molto potenti e abbiano alle spalle capitali infiniti. Invece no. Il capitale reale non è infinito e non cresce come la pianta dei fagioli magici.
Ma il nido dove porto i bambini è una cooperativa. Va bene tesoro, la cooperativa è una società che non può dividere gli utili fra i soci, non una società che non può fare utili!
Che sia una coop, una srl, una spa, una qualunque forma di impresa, anche individuale, per esistere ha bisogno di incassare almeno quanto fa uscire per costi, tributi e contributi. Considerando fra i costi l’ammortamento dei costi iniziali, altrimenti è un fallimento garantito.
Ammettiamo pure che ci sia il perfetto pareggio di bilancio, è un situazione molto pericolosa. Il perfetto pareggio di bilancio è lo spartiacque fra l’attivo e il passivo. Basta spostarsi leggermente e si va in perdita. Un altro problema con il pareggio è che non c’è utile, il che non significa solo che non si possono dividere gli utili e arricchire chi ha investito del capitale. Non fare utile significa che non si possono neppure accantonare soldi per spese future. Ovvero, se dovrai fare qualunque spesa straordinaria, non avrai i soldi.
Si certo, i soldi te li dà la banca. Ma poi li devi restituire, con gli interessi.
Sia chiaro, anche il pubblico deve avere i soldi e spenderli. Il vantaggio del pubblico rispetto al privato è che può permettersi il pareggio di bilancio, ma nella realtà finisce sempre in deficit, creando il famigerato debito pubblico.
Abbiamo capito che il debito pubblico è il male, come ogni debito, ma calando le mie considerazioni nella pratica, il pubblico ha la capacità di creare dei sistemi di supporto ai cittadini, che non hanno i limiti dell’impresa privata.
Limiti dell’impresa! Dire una cosa del genere in Italia sembra una bestemmia, eppure ve li ho illustrati e l’ho fatto da persona che dalla nascita è vissuta in un ambiente di lavoro autonomo e impresa.
Sto forse parlando del “socialismo”? Il termine è probabilmente appropriato, se lo liberiamo delle due distorsioni, quella sovietica e quella craxiana.
La comunità, nel nostro caso direi lo Stato, deve essere in condizione di fornire servizi ai cittadini in un certo numero di ambiti. Non me ne frega niente se gli attuali vertici della UE e della Repubblica Italiana non sono d’accordo, la mia è un’idea, come tante altre, e non è escluso che un giorno altri milioni di persone ne abbiano una simile o uguale.
Trovo inconcepibile l’idea di trasferire all’impresa privata l’esclusiva o la prevalenza nei servizi che risultano essenziali. Mi va benissimo che un’impresa privata produca la carta igienica, per quanto sia un bene essenziale e irrinunciabile per la salute e la felicità di tutti noi, ma non mi va bene se la nostra società depotenzia ospedali pubblici, scuole pubbliche, asili pubblici, trasporto pubblico e altri servizi per fare spazio all’impresa privata.
Se il privato è veramente più bravo del pubblico, fornirà servizi migliori, attirerà a sé i clienti. Non ho nulla da dire se l’ospedale mi fa fare la risonanza magnetica fra dieci giorni e il privato domattina, mi arrabbio molto se l’ospedale mi dà l’appuntamento fra sei mesi, perché non ha abbastanza macchinari, o abbastanza personale, per reggere il carico di lavoro.
Se una coppia di amici sceglie di mandare i bambini al nido che adotta un metodo particolare, è una loro libera scelta e apprezzo questa libertà. Non mi va bene quando devono mandare i bimbi al nido privato perché nel pubblico non c’è posto, oppure il nido non esiste proprio perché abitano in un paesino.
La società che vorrei è quella in cui sia salvaguardata la libertà di impresa, ma tutti possano accedere ai servizi, garantiti dal pubblico e con costi suddivisi fra tutti noi, con la libertà di scegliere di non farlo se ne ha la capacità economica.

Il coraggio di avere successo

gennaio 29, 2018

Non sapevo assolutamente nulla del signor Ingvar Kamprad, fino a stamattina. Sul serio. Ho acquistato diverse cose in un negozio della società che fondò giovanissimo, ma non avevo idea nemmeno dell’esistenza di questa persona. Oggi scopro chi fosse e che è morto. Immagino saprete ormai anche voi che stiamo parlando del fondatore dell’IKEA.
In un articolo che lo ricorda leggo: “A cinque anni andava in bicicletta da Agunnaryd a Malmoe, comprava i fiammiferi a pacchi e li rivendeva a decine ai vicini di casa. A nove andava a pescare e recapitava i salmoni a domicilio. A 17 crea una società di vendita per corrispondenza: biro, portafogli e semi di verdure consegnati dal lattaio.”.

Aveva capito esattamente quali fossero le necessità, i bisogni dei suoi clienti e quali i problemi che dovevano affrontare. Lui forniva soluzioni. Ad esempio, perché acquistare pacchi di fiammiferi e venderli poi a decine? Perché, in una società rurale del secolo scorso, acquistare (more…)

Fine anno 2017, non è tempo di bilanci

dicembre 31, 2017

Credo dovrebbe essere più che altro tempo di progetti, anche se qualunque progetto si basa su uno stato di fatto.

Se devo riconoscere per forza la mezzanotte fra il 31 dicembre 2017 e il 1 gennaio 2018 come uno spartiacque, il mio “buon proposito” per l’anno nuovo è sicuramente questo: fare cose difficili.

Il 2017 per me è stato un anno difficile, non per scelta. Sicuramente uno degli anni più difficili dei 46 che ho vissuto finora. E’ banale dirlo, ma ovviamente l’evento che ha segnato di più questo anno è stata la morte di mio padre, o meglio la malattia che si è conclusa con la sua morte. E’ stato un periodo fortunatamente breve (meno di sei mesi) ma in qualche modo esaltante. Ho sempre riconosciuto in mio padre una forza (more…)