Non sono un tipo competitivo. Ho sempre evitato le gare, non per paura di ammettere la mia ovvia inferiorità a fronte di una sconfitta. Semplicemente non sono competitivo.
Eppure a volte capitano episodi interessanti.
In piscina, vasca corta (25m) dopo un’estate passata a sguazzare in quella da 50m, dico sguazzare perché “allenarmi” presuporrebbe dei risultati che non ci sono manco per sbaglio. Parto un paio di secondi dopo il tizio nella corsia accanto, che più o meno ha tenuto un ritmo uguale al mio fino a quel momento. Per qualche motivo, finiamo testa a testa. Mi accorgo che dopo avermi visto, accelera. Alla fine della prima vasca è mezzo metro avanti. Facciamo inversione come tutti noi scarsi, restando dritti.
Alla fine della seconda vasca sono un po’ più indietro. Ai 100m la mia testa è all’altezza dei suoi polpacci. Continuo col mio solito ritmo.
A 150 m ormai vedo solo la punta delle sue dita dei piedi quando respiro da quel lato. E lì, mi parte una voglia irrefrenabile di arrivare primo. Inversione rapida, spingo bene con le gambe e inizio a forzare un po’ la bracciata. A 175 m siamo di nuovo testa a testa. A questo punto mi appello all’aiuto di San Carlo (Pedersoli) e decido di fare la capovolta, che mi cava fiato ma è molto più veloce. Schizzo via e inizio a forzare sul serio, come il Phelps dei poverissimi. A 200m i miei piedi sono nettamente davanti alla sua testa. Gli ho preso almeno 2 metri in appena 25.
Non sono un tipo competitivo, però se ti affianco, non devi accelerare.