Sono andato in un grande supermercato a fare la spesa. Mi capita, quando finisco di lavorare dopo le 19:30 che, qui in Friuli, segnano l’inizio dell’ora di cena.
Nel reparto orto frutticolo c’è un settore con grandi cartelli “Bio”. Confesso di averlo ignorato per sette anni. Questa volta ho guardato cosa ci fosse in quel settore: a fianco delle logiche patate, arance, cipolle, biete e cavoli assortiti ho notato zucchine, melanzane, peperoni. Bio eh.
Ora, spiegatemi quale logica c’è nel mettere a disposizione ortaggi estivi a inizio marzo, marchiandoli “bio”.
La logica è semplice: sono certamente stati coltivati rispettando rigidi disciplinari “bio”, che ovviamente non hanno un accidente a che vedere con la biologia di quelle specie, che a inizio marzo sono semi che non hanno ancora nemmeno germinato.
Sia chiaro, non è una truffa: i protocolli sono chiari e pubblici. Semplicemente si può marchiare “bio” un prodotto derivante dalla manipolazione di una specie e, probabilmente, trasportato per centinaia di chilometri.
Se quello è il conetto di bio-, non sono un biologo.