
L’uso delle mascherine per la prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 è diventato un’abitudine. Usiamo le mascherine di tipo “chirurgico” per ridurre l’emissione di goccioline che potrebbero veicolare i virus dal nostro apparato respiratorio nell’aria circostante, oppure le mascherine filtranti tipo FFP2 per ridurre anche la probabilità che una gocciolina emessa da altri venga inalata e porti i virus dentro il nostro corpo.
Le mascherine vanno cambiate, perché si suppone che, da un lato o dall’altro, possano avere una certa quantità di virus sulla loro superficie. Più aria schermano o filtrano, più è probabile che i virus intercettati si muovano comunque e raggiungano l’obiettivo. Un’alternativa al cambio della mascherina è la sua disinfezione molto accurata. Come risulta efficace il lavaggio delle mani, lo è anche quello di ogni oggetto, mascherine comprese. Il SARS-CoV-2 è un virus ricoperto da membrana fosfolipidica, quindi dei tensioattivi (sapone e simili) la danneggiano irrimediabilmente. Un altro metodo è usare alcol etilico, la cui principale proprietà è quella di riuscire a indurre alterazioni non solo sulla membrana fosfolipidica, ma anche sulle proteine esposte (fra cui le famose spike). Un altro metodo per la disinfezione si basa sul fatto che i raggi ultravioletti (o UV) danneggiano gli acidi nucleici, compreso il RNA virale.
Come sappiamo bene gli UV solari possono danneggiare seriamente le nostre cellule, se non sono protette adeguatamente. Nel nostro caso sotto lo strato esterno della pelle c’è uno strato che contiene cellule con melanina. Chi è bianco come una mozzarella, come me, in mezz’ora al sole diventa rosso, ovvero manifesta i sintomi di un’infiammazione dovuta ai danni che gli UV provocano ai tessuti. Sappiamo anche che a volte va peggio e gli UV riescono a creare danni al nostro DNA tali da trasformare una cellula normale in una cellula tumorale. Nel caso del nostro dannato virus SARS-CoV-2 gli UV funzionano piuttosto bene e ne è prova il fatto che ogni primavera, sia 2020 che 2021, l’incidenza di CoViD-19 è calata rapidamente.
Quello che vedete in foto è un “trucco” che adotto per riutilizzare delle mascherine FFP2 che ho indossato per periodi di tempo brevi. Quella più vicina è stata indossata per mezz’ora, di cui venti minuti all’aperto in strada quasi deserta e 10 minuti nella struttura per i prelievi a tampone, dove ho incontrato solamente due sanitari che indossavano tutti i dispositivi atti a impedire scambi di virus. L’altra l’ho usata in totale per due ore, a più riprese, in situazioni meno ideali, ovvero al supermercato. Quando mi imbarcherò su un aereo mi vedranno estrarre platealmente una FFP2 nuova dalla sua busta sigillata, a cui dovrò sovrapporre una mascherina chirurgica perché il regolamento (secondo il personale di terra che ho incontrato finora) dice “chirurgica” e non aggiunge “o protezione superiore”. Io in un tubo chiuso con la semplice chirurgica non ci entro, anche perché non ho ancora ricevuto la vaccinazione completa.
Le mascherine vengono prima lavate utilizzando tensioattivi e disinfettanti. Al momento uso una miscela commerciale che viene proposta per disinfettare gli abiti e ridurre i cattivi odori. Contiene tensioattivi e una sostanza che libera ossigeno radicalico, ovvero ossida parecchio, un po’ come perossido di idrogeno (acqua ossigenata). Non è una soluzione specifica per i virus, in genere si usa per i batteri e i funghi, ma funziona anche sui virus perché danneggia la membrana e le proteine esposte. Dopo di che, espongo al sole le mascherine, che si asciugano e ricevono una dose di UV sufficiente a farmi assumere la colorazione di un gambero bollito.
Il limite delle 8 ore. Si sa che gran parte delle mascherine FFP2 hanno un limite di utilizzo temporale pari a 8 ore. In realtà si tratta di un limite convenzionale legato al fatto che sono dispositivi di protezione individuale usati sul lavoro, dove il turno completo è pari, appunto, a 8 ore. Nella realtà, come per tutti i filtri, la loro efficacia è legata a una serie di fattori che sono molto variabili, in base all’ambiente in cui ci troviamo e alle caratteristiche di ciò che vogliamo bloccare. Personalmente, disinfetto le FFP2 dopo ogni uso e comunque non le indosso per più di 6 ore complessive.
Il risultato di questo comportamento è che, toccando ferro, legno e gonadi, dopo 15 mesi di pandemia sono ancora negativo al test per SARS-CoV-2. Mi raccomando però, bisogna essere rigorosi nella gestione dei dispositivi di protezione, se si è poco disposti o inclini al rigore “da laboratorio”, è meglio buttare via tutto e usare una mascherina nuova.