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Addio compagni dai campi e dalle officine

Maggio 4, 2023

《Compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce e portate il martello》 è il verso di una celebre canzone “di lotta” composta da Paolo Pietrangeli nel 1966, divenuta un inno nel periodo della contestazione detto del ’68.

Recentemente diversi seguaci di movimenti e partiti che si considerano di sinistra ed eredi della tradizione rivoluzionaria di ispirazione comunista, hanno assunto posizioni piuttosto strane. Ad esempio contestano l’agricoltura intensiva, che sembrava invece molto amata dagli agricoltori. Nello stesso tempo, molti si esprimono contro la creazione o il mantenimento di impianti industriali. Dove lavorano o lavorerebbero gli operai.

Niente campi, niente officine, da dove cavolo li tireranno fuori i compagni?

In realtà un problema c’è ed è grave. I figli e nipoti dei braccianti agricoli di un tempo oggi sono laureati e lavorano nel terziario. Gli sfruttati sono quelli dei call centers e dei delivery services. Una canzone con ste parole non è mica facile da immaginare. I braccianti restano sempre, ma ormai sono per lo più africani, bengalesi, mediorientali, che interessano alla sinistra in quanto migranti da accogliere, senza pensare molto al dopo. Cioè, se arrivano vivi dopo un viaggio pericolosissimo, se sopravvivono a violenze di ogni genere, li accogliamo (almeno spero!) e poi … eh, poi boh. Che cosa gli facciamo fare? Integrazione! Inclusione! 0k, ma cosa cavolo gli facciamo fare? Spesso sono persone non istruite, che non possono trovare impiego diverso da quello dei compagni dei campi e delle officine di un tempo. Altre volte sono istruiti, pure molto, ma non parlano italiano e noi non parliamo inglese (cioè, voi non parlare inglisc, io parlare avonde ben). Quindi finiscono comunque a fare lavori pari a quelli degli analfabeti. Ma dove?

Eh, le fabbriche inquinano e se sei di sinistra oggi pensi al cambiamento climatico. Se non sei di sinistra non ci pensi ma finirai comunque per subirne le conseguenze; non saranno piccole, credetemi. Siamo nei guai e negarlo non ci salverà. Come non ci salverà stracciarci le vesti.

I campi? Si ma biodinamici e senza ogm. Non producono un ostia, non mantengono 60 milioni di mangiaspaghetti, ma tanto possiamo importare a prezzi stracciati risorse agricole dai paesi più poveri. A pezzi stracciati perché lì i compagni dai campi li sfruttano di brutto.

Mi è capitato persino di vedere bandiere rosse a una manifestazione contro un nuovo impianto industriale. Ho pensato al mito del compagno Алексе́й Григо́рьевич Стаха́нов (Stakhanov). Niente da fare, in compagno Stakhanov è anacronistico. Innanzitutto bisogna lavorare 7 ore al giorno per 5 giorni (35 ore). Ma potremmo anche passare a 4 giorni. Ma si, tanto la roba che compriamo è prodotta in Cina, dove sono ancora compagni comunisti e se non lavori come un mus ti rieducano al volo. Ah, fra l’altro il compagno Stakhanov lavorava come minatore nel Donbass e oggi non so mica come se la caverebbe con quella schifo di guerra.

E il terzomondismo? Quelle meravigliose e veramente interessanti idee su come liberare i paesi del Terzo Mondo, i cui abitanti sono poveri de facto, dal giogo delle multinazionali che ne rapinano le risorse? Voglio dire, le lotte del Che? Hasta la victoria forse!

Che benaltrismo qualunquista!

Beh dai, se in Nigeria la gente muore di fame seduta su giacimenti di petrolio, li accoglieremo, ma le cose importanti sono altre, tipo l’inclusività.

A me piacerebbe escludere i nostri culi pallidi dalle poltrone che controllano le risorse dell’Africa e del Sudamerica. Altro che inclusione!